Sull'onda
del successo riscosso l'anno scorso in occasione della sua prima edizione,
il Gong Festival ha riportato anche quest'anno una ventata di buona musica
all'insegna del rock progressivo .
Stessa cornice, cioè un'arena naturale ricavata all'interno di
uno splendido agriturismo nelle vicinanze di Reggio Emilia, stessa organizzazione
(Gigi Cavalli Cocchi ed associazione Re-Prog) e tempo meteorologico clemente,
anche se la giornata era po' ventosa.
Insomma, le premesse per bissare la riuscitissima edizione 2004 c'erano
tutte: peccato che l'unica nota veramente stonata sia stata la scarsa
affluenza di pubblico che ad occhio non ha mai superato le 200 unità
paganti ..... già proprio paganti !
Una sgradita novità è stato proprio il biglietto di ingresso
a 10 euro, peraltro furbescamente (alla faccia della correttezza e della
trasparenza !!!) omessa in qualsiasi locandina od annuncio dell'evento.
Lo definirei un ottimo metodo per spillare quattrini a quanti come il
sottoscritto si sono bevuti 250 chilometri di viaggio e certamente non
sarebbero mai tornati indietro di fronte all'onta di un esborso comunque
accessibile.
Pur essendo convinto che il principale motivo del mezzo flop non sia affatto
riconducibile all'introduzione del biglietto, quanto piuttosto all'assenza
del grande nome, rimane solo da chiedersi se era proprio necessario chiedere
dei soldi per l'ingresso, a distanza di un solo anno dalla nascita del
festival e conoscendo la disastrosa situazione di coinvolgimento del pubblico
progressivo italiano. Inoltre sono certo che le 3000 persone non paganti
della passata edizione abbiano consumato molto di più dei quattro
gatti paganti di quest'anno.
Ma veniamo alla musica. Sei gruppi hanno animato il festival, due locali
(i Type e gli Oltremare), due olandesi (Plackband e Flamborough Head)
e due francesi (Lord Of Mushrooms ed Eclat).
Prima ho parlato di assenza del grande nome, ma in realtà se si
considera un perimetro più ristretto del mondo progressive, gli
Eclat ed i Flamborough Head sono certamente formazioni di richiamo.
Arrivo leggermente in ritardo, giusto in tempo per ascoltare l'ultima
parte dell'esibizione degli Oltremare e per acquistare il cd dei tedeschi
Madison Dyke presso gli stand allestiti nell'area commerciale.
LORD OF MUSHROOMS
Alle 18 salgono sul palco i cinque ragazzi dei Lord Of Mushrooms, francesi
di Nizza con all'attivo un discreto album di esordio ed uno nuovo in preparazione.
L'esibizione non ha nascosto la loro vena compositiva più orientata
verso un progressive tecnico con un occhio strizzato al metal e l'altro
a melodie più accessibili. Il gruppo è guidato dal bravo
chitarrista Laurent James e dal cantante Julien Vallespi, un buon frontman
con le movenze alla Rob Sowden ed una voce discreta. I brani che dal vivo
mi hanno impressionato di più sono stati quelli che compariranno
nel loro prossimo lavoro (a memoria mi ricordo "Sloth"), per
la cronaca incentrato sui sette peccati capitali (Magenta docet).
Infine, è stata molto piacevole ma disseminata di stecche del tastierista
e di problemi tecnici l'esecuzione di "Firth Of Fifth" dei Genesis.
Prova nel complesso dignitosa.
PLACKBAND
Brevissimo cambio di strumentazione e dal gruppo anagraficamente più
giovane si passa a quello più stagionato, i Plackband. Il quintetto
olandese esiste infatti dalla metà degli anni settanta ma nonostante
ciò ha registrato un solo vero album dal titolo "After The
Battle" nel 2002. Ho accolto la loro esibizione con una certa freddezza
poiché non sono un grande estimatore del loro rock sinfonico di
chiara derivazione genesiana. Il disco menzionato poc'anzi vive di pochissimi
momenti di vera ispirazione e tanti di sterile riproposizione degli stilemi
del genere e purtroppo anche dal vivo ho vissuto le stesse sensazioni
provate ascoltando il cd. La loro musica è abbastanza anonima e
non da mai prova di brillantezza sia compositiva che esecutiva.
C'è poco altro da segnalare se non l'esecuzione della discreta
ed omonima canzone tratta da "After The Battle" e l'assenza
del cantante originale Kees Bik che non ha fatto parte della spedizione
italiana per problemi di salute ed è stato sostituito dall'ottima
presenza scenica e discreta voce di Koos Sekreve.
FLAMBOROUGH HEAD
Di ben altro spessore è stata la prova dei Flamborough Head, incentrata
soprattutto sul materiale che andrà a comporre il loro prossimo
disco in uscita per settembre.
Il disco più recente "One For The Crow" del 2002 aveva
segnato una svolta abbastanza radicale nella carriera del gruppo: innanzitutto
l'inserimento della bravissima Margriet Boomsma alla voce e flauto e di
Eddie Mulder alle chitarre ed il conseguente cambio di stile passato da
un neo progressive convenzionale ma di indubbio spessore (ascoltare "Unspoken
Whisper" per credere) ad un rock sinfonico più ricercato con
elementi floydiani ed una spruzzata di folk anglosassone (un po' alla
Mostly Autumn tanto per intenderci).
La loro esibizione italiana (la seconda dopo quella di Mantova dell'anno
scorso) è stata assolutamente perfetta da ogni punto di vista e
sicuramente quella che mi ha coinvolto maggiormente in questa giornata
di musica.
La voce ed il flauto di Margriet Boomsma aggiungono un tocco unico ai
tappeti di tastiere orditi da Edo Spanninga ed ai solismi di Eddie Mulder.
Quest'ultimo sfoggia sempre un tocco preciso e pulito specie in fase di
assolo ed è sorprendente a mio avviso la sua somiglianza fisica
ed in parte anche "chitarristica" a David Gilmour.
Il gruppo ha dimostrato un grande affiatamento sul palco: molto precisa
la sezione ritmica composta da Koen "Gentle Giant" Roozen alle
percussioni e Marcel Derix al basso. Inoltre i nuovi brani mi sono sembrati
musicalmente in linea con quelli di "One For The Crow". Unica
concessione al passato la splendida "Limestone Rock" e "Garden
Of Dreams". Prestazione maiuscola !
ECLAT
Il compito di chiudere la manifestazione è toccato ai francesi
(da Marsiglia) Eclat, guidati dall'estro e dalla grande tecnica chitarristica
di Alain Chiarazzo. Iniziano a suonare alle 23,15 e purtroppo gli organizzatori
devono chiamare a gran voce il pubblico (stanco e probabilmente con la
mente già all'imminente giornata lavorativa) perché si avvicini
al palco ad assistere all'esibizione.
I pochi intimi hanno potuto saggiare da vicino grandi canzoni come "La
cri de la terre" ed "Eternitè" tratte dall'ultimo
album targato Musea di un paio di anni fa. Ed ancora brani del passato
come "Vitriol" e "La machine".
Uno strumentista dotato come Alain non può che circondarsi di esecutori
alrettanto validi: impressionante la sezione ritmica composta dal bassista
e dal batterista italiano (romagnolo … di Reggio Emilia ??!!) Marco
Fabbri (Odessa).
La qualità del loro prog robusto, molto tecnico e completamente
strumentale ha consentito al gruppo di raggiungere lo status di grande
nome dell'underground prog e non è certo un caso che gli Eclat
vengano puntualmente invitati a suonare nei festival più importanti
in tutto il mondo, l'ultimo proprio il Baja Prog messicano... ed era la
terza volta.