L’ho ascoltato una
volta, due volte, tre volte, poi l’ho lasciato riposare qualche giorno sperando
nel cosiddetto effetto peperonata, che il giorno dopo è ugualmente difficile
da digerire ma di solito è più buona e l’ho poi consumato altre 3 volte.
Ma niente da fare, "Argot", ultima fatica dei Thieves Kitchen,
la band inglese dell’ex batterista dei Grey Lady Down Mark Robotham, non
mi è proprio entrato né in testa né nel cuore. Avevo già intravisto la difficoltà
che avrei incontrato leggendo la durata totale del cd (oltre i 60 minuti),
il numero di brani (4) e conseguentemente la durata molto elevata di ciascuno.
Più che di 4 brani sarebbe quindi il caso di parlare di 4 porzioni di album,
di 4 lunghi spaccati musicali. E invece no, la formula a cui Mark Robotham
ci aveva abituati già nei GLD (di cui era una delle menti) viene qui riproposta
ed addirittura accentuata.
Lo ammetto, sono molto
combattuto, perché mi spiacerebbe stroncare "Argot", che a me
certamente non piace ma al cui interno c’è materiale in abbondanza e di
qualità per soddisfare qualsiasi prog fan dal palato esigente. Lo potrei
definire prog intellettuale, complicato, una vera sfida alle capacità assorbenti
di quella parte non ancora scoperta del nostro cervello che ci fa amare
questa musica. A me però non resta che gettare la spugna ed ammettere che
questo eccessivo tasso di complessità non fa parte del mio Dna, perché in
effetti i Thieves Kitchen suonano molto bene ed in certi momenti raggiungono
vette di creatività non indifferenti.
La traccia iniziale
"John Doe Number One" mi sembra la più riuscita, quella al cui
interno sono presenti i momenti più ispirati e di qualità.
E’ un album a cui va
dedicato un po’ di tempo e di attenzione. Non può essere ascoltato distrattamente
ed assunto con ingordigia perché si rischia una congestione o quanto meno
un fastidioso mal di pancia. E’ quindi un album destinato a rimanere un
prodotto elitario e di nicchia e pur non rappresentando un punto a sfavore
dal punto di vista artistico certamente lo è per il loro portafoglio.
Dubito, per esempio,
che gli amanti del neo-progressive, leggendo queste righe, correranno ad
acquistare il disco, ma se anche così fosse potranno dire ai loro amici
di non essere riusciti a terminare l’ascolto neanche della prima traccia.
Una particolarità bizzarra:
se vi sfugge o non capite qualche parola inglese fondamentale per dare un
senso al testo delle canzoni, mettetevi il cuore in pace perché i TK hanno
avuto l’idea di tradurre le liriche in polacco, svedese, russo e arabo.
Mah...
TK
is the new band of Grey Lady Down ex drummer Mark Robotham: the music is
quite different from GLD stuff, it’s more complex and hard to swallow. There
are only 4 songs (but I shoud say 4 long pieces of album) for 60 minutes
of cd total lasting.
I
listened to it once, twice, then I made it rest for a couple of days trying
again afterwards. Nothing to do: "Argot", the second and last
album of Thieves Kitchen doesn’t find a place in my mind and neither in
my heart.
I
don’t want to give you a bad idea of this album, because it’s not really
bad and I’m sure many old prog lovers (complexity lovers too) will fall
in love with it. But I didn’t, even if I’m a prog fan and I like a certain
kind of complexity in music. Each long track contains a lot of genuine prog
stuff, lots of good ideas and everything is played by skilled musicians.
So
why didn’t I like it ? Because it doesn’t flow, all the good moments are
too much disconnected each other . Their sound wisely mixes jazz, prog-metal,
classic prog but, as I said earlier, the result is really hard to swallow
and to digest.