- Nella passata decade i Royal Hunt sono stati
uno dei più fulgidi esempi di prog metal europeo e dopo qualche
album di riscaldamento hanno raggiunto con "Moving Target" il
meritato successo internazionale, bissato poi dal successivo "Paradox".
Album imponenti per forza espressiva e songwriting di assoluta qualità
con un frontman come D.C. Cooper a rappresentare la classica marcia in
più. Con l'arrivo del nuovo cantante la band ha scelto la via della
continuità senza strappi o cambiamenti di rotta ma mentre "Fear"
ha deluso non pochi fan della band con una manciata di brani senza squilli
e con il cantante alle prese con problemi di ambientamento, questo nuovo
lavoro ha risollevato le quotazioni del combo norvegese. Risollevare in
questo caso però non significa tornare ai fasti di un tempo ma
solo confezionare un disco più che accettabile e molto orecchiabile.
Questo è "The Mission", un disco senza difetti evidenti
ma neanche con pregi rilevanti: i riff di chitarra sono graffianti e ben
assemblati, basso e batteria precisi e pompati, ma come in passato tutto
nasce dalle tastiere e dalla mente creativa del gruppo, Andre' Andersen.
Si sente forte e chiaro il suo marchio, la vena classicheggiante delle
melodie, la solennità dei cori che accompagnano quasi ogni passaggio
vocale e le sfumature molto epiche: un marchio depositato ai tempi di
"Moving Target" e sempre utilizzato per distinguere il Royal
Hunt sound da quello dei loro più stretti colleghi. Con il rischio,
sempre in agguato, di sconfinare puntualmente nei territori del già
sentito e dell'autocitazione: "Surrender", "World Wide
War" e "Out Of Reach" sono solo alcuni esempi di brani
piacevoli ma che ricordano troppo i RY di "Paradox"
In verità qualche timido tentativo di andare oltre e di distaccarsi
dal loro marchio di fabbrica è stato compiuto ed è palese
per esempio nell'iniziale brano omonimo dal ritornello fluido ed americaneggiante
ed in "Judgement Day", caratterizzata da un'introduzione di
basso molto simile a "Della Brown" dei Queensryche.
Decisamente non male anche la rainbowiana "Days Of No Trust"
con una conclusione dal grande impatto emotivo.
Insomma, per me trattasi di missione compiuta ma senza le altissime onorificenze
come in passato.