- Sono passati solo pochi anni, 6 per l’esattezza, dal disco d’esordio di questo sorprendente artista newyorkese, eppure sarebbe già matura la realizzazione di una raccolta antologica, tanti sono stati i dischi sinora pubblicati. A ricordarci il numero è il titolo stesso della sua ultima fatica, “Number Seven”, uscita nel 2009. A conferma della sua inarrestabile prolificità, Phideaux ha già annunciato l’uscita, a breve, del prossimo disco “7 ½” con tanto di copertina già svelata.
La frase finale del mio commento al precedente disco cosi recitava: “Doomsday Afternoon” è l’apice creativo della già nutrita discografia di Phideaux, una vetta che sarà alquanto difficile raggiungere di nuovo”.
Posso dire di essere stato profetico: “Number Seven” è un signor disco, dallo spessore artistico notevole, ma per un soffio non riesce nella difficilissima impresa di eguagliare la magia di “Doomsday Afternoon”.
La formazione è rimasta identica ed anche lo stile prosegue nella scelta di un minor eclettismo e di un maggior orientamento al rock sinfonico alla Genesis e Pink Floyd; manca invece l’apporto dell’orchestra che cosi sapientemente aveva reso omogeneo l’impasto sonoro di “Doomsday..”.
Bene, sarebbe sterile cercare con il lanternino le motivazioni (molto sottili, come detto) che rendono “Number Seven” leggermente inferiore, quindi preferisco concentrarmi sulla rinnovata capacità nel curare gli splendidi arrangiamenti, sulla fluidità degli stacchi e dei cambiamenti di ritmo che contraddistinguono il dipanarsi del concept. Ma l’aspetto più positivo è la capacità del disco di appassionare l’ascoltatore attraverso trame non semplicissime che meritano più di un ascolto ma anche lineari e melodiche, conducendolo alla fine del percorso senza interruzioni. La voce di Valerie Gracious di supporto a quella di Phideaux è come sempre celestiale ed è sempre presente in ogni frammento più ispirato del lotto (la splendida “The Claws Of A Crayfish” su tutti).
Veniamo ai contenuti della storia, come sempre raccontata facendo uso di curiose metafore zoologiche, una sorta di denuncia alle aree di conforto che ognuno di noi troppo spesso usa come scudo per rifuggire il cambiamento. Il protagonista della crescita interiore è paragonato ad un ghiro, raffigurato all’interno del booklet alle prese con l’inaspettato cambiamento.
Ricordando che Phideaux non scrive canzoni ma le scopre e dà loro una forma, sarebbe curioso conoscere il luogo incantato da cui da diversi anni riesce trovare questa incredibile ispirazione.
- COMING SOON
Luca
Alberici
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