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- Forma e  sostanza devono saper convivere per convincere completamente, se l’una prevale  sull’altra oppure se una scarseggia il risultato difficilmente convincerà.
 Il nome di  questo gruppo bolognese, Furyu, termine giapponese che in italiano significa  “elegante” forse involontariamente ci fornisce l’indicazione di quale delle due  suddette caratteristiche il disco faccia difetto.
 “Ciò che  l’anima non dice” è un disco di heavy-metal, diretto come un pugno in faccia e  dall’impatto sonoro notevole oltreché tecnicamente molto ben eseguito. Inoltre  è apprezzabile il tentativo in ciascuna delle sei canzoni di osare un approccio  più elaborato, con cambi di ritmo e virtuosismi di basso e batteria che rendono  l’ascolto piacevole e tensioattivo.
 In  particolare riservo un plauso personale al batterista Riccardo Grechi che grazie  alla sua pulizia e fantasia percussiva permette al disco di guadagnare punti.
 Appunto la  forma, dicevamo: quasi perfetta e ben bilanciata la registrazione e la resa  sonora, troviamo riff di chitarra a valanga, qualche citazione e reminiscenze a  me care di Testament, Death Angel ed altri alfieri dello speed-metal anni 80.  La sostanza ? Ancora pochina  e  concentrata nel brano di apertura “Illusione dei miei sogni” e nella mia  preferita “Finalmente io sono”, mentre il resto è un esercizio di stile dalla  forma ben architettata ed eseguita.
 Considerando  il genere musicale non più in cima ai miei pensieri, ammetto che non pensavo di  arrivare neanche alla fine del primo assaggio ed invece ho completato con  successo ed agilità una decina di ascolti. Basta questo per attendere con  rinnovata curiosità un secondo disco un po’ più di sostanza, magari con  l’inserimento di parti cantate più funzionali e protagoniste. Luca 
    Alberici
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