Se fossi messo alle strette, legato, imbavagliato e costretto a scegliere
il miglior disco del primo periodo dei Camel, questa ricadrebbe su "Moonmadness".
L’anno
di uscita è il 1976, anno in cui la scena progressive in Inghilterra era
dominata dalla scuola di Canterbury, costituita da band come Caravan e Gentle
Giant ma erano molto in auge anche artisti come Curved Air, Gong, King Crimson,
Pink Floyd e Genesis. I Camel non sono mai stati contemplati nel filone
di Canterbury (nonostante la leggera somiglianza con i Caravan) né paragonati
ad altri gruppi a loro contemporanei: in effetti ho sempre considerato Latimer
e compagni l’esempio ideale di come una prog band di quei tempi dovesse
comporre musica perché hanno saputo proporre un sound più accessibile e
se mi permettete più commerciale, pur nel rispetto dei canoni tanto cari
al progressive rock di allora. La strumentale "Aristillus" (grande
introduzione) apre il sipario su "Song Within A Song", così dolcemente
malinconica che ripropone le sonorità simili al materiale del precedente
"Mirage": le maestose note della chitarra e del flauto di Latimer
firmano una della canzoni che sono entrate nella decennale storia del gruppo.
Il
disco prosegue con "Chord Change" caratterizzata da un’apertura
in perfetto prog-style anni ’70, anche se è l’intermezzo centrale il fulcro
del brano, dove Latimer ci delizia con passaggi di chitarra di una classe
assoluta. "Spirit Of The Water" è uno dei brani dei Camel a cui
sono più affezionato: solo 2 minuti e 9 secondi di pianoforte e voce filtrata
di Pete Bardens, che tuttavia riescono ad evocare i mille significati della
vita terrena. "Another Night" è prevalentemente strumentale ed
è la sua fortuna in quanto gli interventi vocali non sono niente di speciale.
Nel complesso risulta essere il brano meno brillante del disco.
E’
l’accoppiata Latimer-Bardens a farla da padrone anche in "Air Born":
splendidi il flauto e la chitarra che disegnano il motivo principale nel
quale il marchio di fabbrica dei Camel è sotto gli occhi di tutti. Deliziosa.
La
varietà dei suoni e degli umori fanno la fortuna di "Moonmadness"
poiché si spazia dal prog più romantico (la parte predominante) a quello
più tecnico e meno immediato, fino a raggiungere i territori prog-space,
come nella conclusiva "Lunar Sea", dove i sintetizzatori si fanno
sentire maggiormente. Siamo qui al cospetto di un altro dei monumenti della
loro produzione iniziale.
Se
"Moonmadness" non fa ancora parte della vostra collezione, non
commettete il grave errore di non rimediare immediatamente.