Scrissi questo articolo nel settembre del 1996 per un giornale locale della mia città. Se escludiamo i prezzi indicati in lire ed il dilagante fenomeno del peer to peer (Napster ed i suoi fratelli) diffusosi qualche anno più tardi, i concetti espressi sono ahimè ancora attualissimi. Consentitemi un commento ex-post: la situazione analizzata dal punto di vista del consumatore di musica non è infatti cambiata, mentre i conti in rosso delle principali major discografiche che annunciano fusioni ed incorporazioni dimostrano chiaramente che le politiche adottate in questi 8 anni non si sono dimostrate vincenti.
Buona lettura

Come annunciato, da questo mese ascoltare musica costerà di più
CD, Carissimo Disco
L'aumento previsto é del 10%. Per l'acquisto di un Cd pagheremo fino a 40mila lire

E' amaro il ritorno dalle vacanze per gli amanti della musica in genere: se avessero avuto il minimo sentore che i loro preziosi supporti fonografici avrebbero subìto un tutt'altro che lieve ritocco sul prezzo, forse si sarebbero accaparrati già a giugno le ultime produzioni o, chissà, probabilmente i collezionisti più convinti avrebbero abbreviato le tanto sospirate ferie.
Comunque sia andata, é purtroppo ufficiale che da questo mese il prezzo di un compact disc si aggirerà intorno alle 40mila lire con un aumento complessivo di circa il 10%. Risultato: l'Italia diventerà il Paese in cui la musica ha un prezzo tra i più alti. Infatti negli Stati Uniti un Cd costa circa 11 dollari (18-19 mila lire), in Francia dai 120 ai 150 franchi (36-40 mila lire), in Inghilterra un Cd di musica leggera costa 13,99 sterline (33 mila lire), mentre un Cd di "classica" raggiunge un massimo di 16 sterline (37 mila lire).
Il mercato discografico non é certo il solo ad essere in crisi ( fa compagnia a quello dell'editoria, dei quotidiani e di quello cinematografico), ma é comunque quello che ha registrato i passivi più consistenti nel corso degli ultimi anni. Basti pensare che dai primi mesi del 1995 al marzo del 1996 il fatturato é sceso del 16%, percentuale che peraltro non accenna a stabilizzarsi.
I dati, quindi, possono giustificare il rincaro, ma i dati come si giustificano? Gli operatori del settore ritengono che le cause principali della crisi siano da ricercarsi nella diffusione musicale gratuita (solo in apparenza!!) di radio e televisione, nel noleggio dei cd, già fuorilegge dall'anno scorso ma ancora ricorrente nelle grandi città, nelle registrazioni e scambio privato di cassette, nonchè nel proliferare della pirateria (i famosi Bootleg) e, secondo alcuni, nella scarsa qualità della maggior parte delle più recenti proposte musicali.
Le suddette motivazioni appaiono, francamente, troppo semplicistiche e poco realistiche. Ma sarebbe più opportuno definirle convenienti se il loro scopo fosse - come penso sia - quello di celare responsabilità ed errori di valutazione a carico esclusivo di coloro che manovrano il business musicale.
Ma procediamo con ordine. Il "passaggio" di brani musicali sui media non può che andare a vantaggio delle case discografiche sotto forma di investimento pubblicitario, che già troppo spesso si tramuta in un costo maggiore del prodotto. E non ci credo che la pirateria e il noleggio abusivo abbiano causato l'aumento dei cd ma é piuttosto vero il contrario.
I fattori della crisi si riducono quindi a due: o il prodotto offerto é qualitativamente scadente, oppure, in periodo di recessione, il pubblico preferisce investire il proprio denaro in beni di più immediata necessità. Escluderei anche il primo perchè dipende dai gusti (esisterà sempre la musica "degna" e quella "indegna" di essere ascoltata senza che per questo la gente si astenga dall'acquistare un disco) e perchè molto spesso il pubblico più sprovveduto, impotente dinanzi a simboli ed eroi creati ad hoc dal consumismo, non é in grado di valutare serenamente l'effettiva validità artistica di un disco (non dimentichiamo che la fascia di età di maggior fruizione é compresa tra i 18 e i 30 anni).
Se, come sembrerebbe, il problema é generato più semplicemente dalla situazione deficitaria dell'economia italiana, perchè aumentare i costi?
Del prezzo finale del cd, il 30% va al rivenditore, il 13% all'Iva, il 3,5% all'editore e agli autori, il 3,5% al produttore, il 6% al trasporto, il 36% alla casa discografica e solo il 5% all'artista. E non tralasciamo il fatto tutt'altro che irrilevante che il dischetto ottico ha ormai soppiantato il cloruro di vinile (l'Lp) e che, pur essendo più avanzato tecnologicamente e più resistente all'usura, é costruito con un materiale meno costoso.
Non sarebbe, dunque, il caso di intervenire su questa scriteriata distribuzione a ventaglio degli utili invece di penalizzare sempre il consumatore?
L'aumento dei prezzi non scoraggerà ancor di più solo il già squattrinato consumatore, ma si ripercuoterà negativamente anche sulla musica stessa; l'industria discografica ha sempre adottato la politica del "proponiamo ciò che al pubblico può piacere e che vuole ascoltare", ma in una situazione così critica verrà prediletto il prodotto commerciale a discapito di quello sperimentale come garanzia di un ritorno economico più sicuro; potremo ascoltare solo gli artisti già affermati, nessuno avrà più il coraggio di investire sugli emergenti e l'evoluzione musicale verso territori inesplorati si frenerà bruscamente.
Luca Alberici, settembre 1996